Brad Barron (Tito Faraci)
Quando comperi a scatola chiusa una miniserie composta da 18 albi di 96 pagine l’uno, devi essere assolutamente certo della sua qualità, o conoscerne a menadito ogni premessa, o ancora, essere molto fortunato. Io non avevo alcuna informazione sul contenuto, né ragioni particolari per sentirmi fortunato, ma non ho avuto dubbi, mi è bastato un nome: Tito Faraci. Un mito, una garanzia tra gli sceneggiatori italiani contemporanei. Ha fatto faville in Disney, ha dato lustro a personaggi Marvel e Bonelli, scrive in un blog seguitissimo. Diciotto volte Tito Faraci ad un prezzo conveniente: non potevo chiedere di meglio. Così ho portato a casa Brad Barron, la prima miniserie Bonelli in assoluto, l’ho collocata in libreria, con il proposito di estrarre uno ad uno i fumetti, scomponendo di volta in volta il bel faccione di Brad, biologo-soldato ritratto a “incastro” sulle coste degli albi. Non vedevo l’ora di iniziare. C’ho messo sei mesi a finirla.
Lo ammetto, Brad Barron non mi passava più. Man mano che capivo dettagli sulla storia, meccanismi narrativi e background, mi scoprivo sempre più lontano dall’appassionarmi alla vicenda. Del resto, non ho mai amato visceralmente la fantascienza e Brad Barron sguazza nella fantascienza più classica, seppur accostandosi di volta in volta a una profusione di generi differenti. Non mi sono mai stati simpatici nemmeno gli eroi invincibili, senza macchia e senza paura, che schivano grandinate di laser e stendono manipoli di mostri con un colpo solo. E Brad Barron è quanto di più vicino a questa concezione d’eroe archetipica (e antipatica?) si possa immaginare: solitario, tormentato dal passato nella sua ricerca di un futuro, ganzo e scaltro, solo nel bel mezzo di un’invasione aliena, giubbotto bombato con il collo di pelo e cicatrice sullo zigomo.
Intorno a Brad, si raduna un profluvio di alieni verdi e minacciosi, armati fino ai (tanti) denti: si chiamano Morb e quando vengono colpiti fanno “Worgh!”. Invadono il pianeta negli anni ’50, schiavizzano i terrestri e se li studiano come cavie da laboratorio, mentre la Terra si fa riserva naturale di flore e faune extraterrestri. Il tutto, in una profusione di dischi volanti, astronavi madri, automi, esoscheletri, zombi, piante carnivore, nidi alieni, entità metafisiche e basi militari.
Insomma, Tito Faraci raccoglie nel grande paiolo della fantascienza primigenia un amalgama di generi narrativi differenti, di ispirazione fumettistica, letteraria, televisiva o cinematografica (da “Flash Gordon” a “Star Trek”, da “La Guerra dei Mondi” ad “Alien”). Li afferra e li butta dentro per quello che sono, avviluppati nei loro cliché e nelle loro consuetudini storiche. Quindi accende il fuoco sotto la pentola e poi giù mestolate, a servire in tavola piatti di western, dove la bella contadina è rimasta sola col pupo e necessita protezione contro i bruti; scodelle di hard-boiled e pulp, con bestiacce tentacolari e accette come se piovessero; porzioni di horror, fatte di spedizioni ardite destinate ad assottigliarsi per l’intervento di mostri, zombi e ragni giganti; e così via. Un’operazione quasi tarantiniana, se vogliamo, ma che perde ben presto la sua aura di citazionismo e commistione di genere, per smarrirsi nel limbo del già visto.
Faraci si impegna nel suo processo d’aggregazione e contaminazione narrativa, ma le situazioni non risultano tanto reinventate, quanto reiterate. E procedere nella lettura si fa vischioso come avanzare in una palude.
Questo, almeno fino a metà della serie. Nei numeri conclusivi, l’incombenza della fine gioca a favore dello sceneggiatore, che abbandona lo stile autoconclusivo e si dedica ad un percorso più compiuto, teso verso il (pur classicissimo) finale. E l’estro di Faraci emerge più nitido, finalmente, con buoni colpi di scena, digressioni interessanti e spunti ben sviluppati.
Troppo poco, in ogni caso. Troppo poco per un talento cristallino, che sembra perdersi un po’ per strada. Come se il dover a tutti i costi rientrare nei parametri narrativi visti sopra falciasse un po’ le gambe a Tito, che con la fantascienza aveva già sfornato autentici miracoli in PKNA. Anche i dialoghi si fanno tirati, stridenti. A cavallo tra la ricerca di incisività e lo scoglio di un target allargatissimo, che non concede riferimenti troppo espliciti o staffilate profonde. Senza contare la schiera di disegnatori differenti, convocati per il progetto (su tutti, i “veterani” Celoni e Brindisi). Stili e tratti anche molto lontani tra loro si allacciano alla storia in vari modi, a volte felici, a volte penalizzanti, sempre rigorosamente inquadrati nel bianco e nero bonelliano.
E si rimane così, in bilico. In bilico tra i generi diversi, tra gli stili dei disegnatori, tra il tono dei dialoghi, senza mai riuscire bene a comprendere quanto questo esercizio d’equilibrismo sia funzionale o risulti deleterio per la vicenda.
Di certo, Brad Barron NON è un prodotto da comprare a scatola chiusa, affidandosi all’ispirazione. Errore mio. A posteriori, è emerso quanto poco mi sentissi affine a questa mini, nonostante vi sia certamente una nutrita fetta di audience rimasta più che soddisfatta dalle vicende e dai sapori della serie. Il consiglio, dunque, è uno solo: meglio capire in anticipo se Brad Barron fa per noi oppure no. Altrimenti, durante la lettura potremmo finire per discostarci dall’eroe, per prenderlo in antipatia. Tanto da preferirgli (o quasi) i brutti alieni Morb, che quando li colpisci fanno “Worgh!”.
Soggetto: 5
Sceneggiatura: 5,5
Disegni: da 5,5 a 8
Tre Difetti
- Tante, troppe situazioni già viste e sperimentate: il citazionismo si perde in se stesso.
- Ogni albo è pensato per essere quasi autoconclusivo e ciò toglie fluidità alla storia.
- Parecchi disegnatori si susseguono in un viavai troppo spezzettato; di contro, la presenza fissa al timone di Tito Faraci risulta sottotono rispetto ai suoi standard elevatissimi.
Tre Virtù
- In ripresa nel finale, si scorge qualche “numero” del Titone nazionale.
- Può risultare gradito agli amanti della fantascienza “classica”.
- Le costine con il faccione di Brad sono simpatiche e sembrano ammiccare dallo scaffale.
Info:
BRAD BARRON
Ideato e scritto da Tito Faraci
Disegnatori: Bruno Brindisi, Anna Lazzarini, Giancarlo Caracuzzo, Giovanni Bruzzo, Luca Raimondo, Alessandro Nespolino, Alessandro Bignamini, Max Avogrado, Walter Venturi e Fabio Celoni
Copertine di Fabio Celoni
Editore: Sergio Bonelli
Miniserie mensile di 18 Albi
Maggio 2005-Ottobre 2006